L’instaurazione del rapporto di lavoro tra un datore di lavoro e un dipendente, determina l’insorgere di diritti ed obblighi in capo ad entrambi.
Ai sensi dell’art 2094 c.c. << E’ prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore>>. L’art 2104 c.c., secondo comma poi, prevede che il lavoratore deve <<osservare le disposizioni per l’esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall’imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende>>.
Il codice civile individua quindi nella subordinazione, intesa come eterodeterminazione e cioè come assoggettamento del lavoratore al potere direttivo del datore di lavoro, il contenuto tipico ed essenziale della prestazione lavorativa, senza la quale non è possibile configurare alcuna ipotesi di lavoro dipendente.
Il potere direttivo del datore di lavoro rimarrebbe però privo di contenuto se esso non prevedesse il potere disciplinare vale a dire il potere di sanzionare il lavoratore che si renda inadempiente ai suoi doveri contrattuali e in generale agli obblighi di diligenza, obbedienza e fedeltà sanciti dagli artt. 2104 e 2105 c.c.
Tuttavia, al fine di tutelare la libertà e la dignità del lavoratore, il legislatore, da un lato, sottopone il potere disciplinare del datore di lavoro a vincoli ben precisi fissandone i presupposti e le modalità di esercizio; dall’altro, prevede l’instaurazione di un contraddittorio a garanzia del diritto di difesa del lavoratore.
Presupposti sostanziali
Per essere legittima, una sanzione disciplinare dovrà essere proporzionata alla gravità dell’infrazione, tenendo presente che non potrà consistere in un mutamento definitivo del rapporto di lavoro, salvo il licenziamento, e dovrà dipendere da un comportamento colpevole del lavoratore. In particolare, le sanzioni disciplinari che il datore può applicare, in base alla maggiore o minore gravità del fatto contestato, sono: rimprovero verbale, rimprovero scritto, multa, sospensione e licenziamento.
Presupposti formali
La norma di riferimento resta l’art 7 dello Statuto dei Lavoratori (Legge 18 maggio 1970, n.300), la quale, dopo aver detto che il datore di lavoro deve portare a conoscenza dei lavoratori i comportamenti vietati e le relative sanzioni mediante la predisposizione di un codice disciplinare affisso in bacheca, al secondo comma precisa che non può essere adottato <<alcun provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore senza aver preventivamente contestato l’addebito e senza averlo sentito a sua difesa>>.
Per assolvere a tali funzioni, la contestazione dell’addebito va comunicata per iscritto, (salvo l’ipotesi del rimprovero verbale), e deve essere specifica, immediata e immutabile.
Essa cioè deve contenere una dettagliata descrizione dei fatti contestati in modo che il lavoratore possa comprendere, con sufficiente chiarezza, gli addebiti che gli vengono mossi e possa così fornire le proprie giustificazioni e deve essere notificata a distanza di non molto tempo dalla conoscenza dei fatti da parte del datore di lavoro, e cioè dal momento in cui egli ha potuto effettuare le proprie valutazioni circa l’applicazione di un provvedimento disciplinare per non ingenerare nel lavoratore l’affidamento sul mancato avvio del procedimento disciplinare. La legge, tuttavia, non stabilisce un periodo massimo entro il quale il datore debba dare avvio al procedimento disciplinare, per cui la tempestività andrà valutata in base delle circostanze del caso concreto e tenendo conto di alcuni parametri elaborati dalla giurisprudenza, come ad esempio le dimensioni dell’azienda e la complessità dei fatti.
La contestazione dell’addebito deve essere immutabile e cioè deve esserci coincidenza tra addebito contestato e addebito posto a fondamento del successivo provvedimento disciplinare.
L’immutabilità della contestazione non va però intesa nel senso che è esclusa la possibilità di chiarire il fatto e le circostanze contestate, e purché ciò avvenga prima che il lavoratore abbia presentato le proprie giustificazioni, ma che sono escluse le circostanze nuove cioè quelle circostanze che mutano sostanzialmente il fatto contestato e sulle quali il lavoratore non ha potuto difendersi.
Infine, nella contestazione dell’addebito, il datore di lavoro deve avvisare il lavoratore che ha cinque giorni per presentare le proprie giustificazioni.
In assenza di questi presupposti formali e sostanziali, il provvedimento disciplinare applicato sarà nullo.
Contraddittorio
Ricevuta la lettera di contestazione di un addebito, dunque, il lavoratore ha cinque giorni di tempo per presentare le proprie giustificazioni e/o chieder di essere sentito a sua difesa.
Il lavoratore può esercitare la propria difesa nella forma che ritiene più opportuna, sia per quanto riguarda le modalità di esercizio, che possono essere scritte o orali, sia nella possibilità di poter cambiare la modalità nel corso del procedimento, potendo chiedere di essere sentito oralmente anche dopo aver presentato giustificazioni scritte e addirittura, anche dopo che sia decorso il termine di cinque giorni legislativamente previsto.
Lo ha affermato la Cassazione nella sentenza n. 19846/2020 ove ha precisato che in assenza di elementi di segno contrario desumibili dal dato testuale della L.300/70 <<non vi sono ragioni per limitare l’ampiezza di esplicazione del diritto di difesa, che il legislatore ha voluto preordinato alla tutela di interessi fondamentali del lavoratore (specie ove si consideri che l’esercizio del potere disciplinare può comportare anche l’adozione della sanzione espulsiva), in assenza di un apprezzabile interesse contrario della parte datoriale, la quale riceve comunque tutela dalla stringente cadenza temporale che regola il procedimento disciplinare>>.
Per arrivare a tale assunto, la Suprema Corte prende le mosse dalla specifica finalità di tutela alla quale è preordinato il procedimento disciplinare. Nello specifico, secondo i giudici di legittimità il termine di cinque giorni dalla contestazione dell’addebito, prima della cui scadenza è preclusa la possibilità di applicare una sanzione disciplinare, è funzionale soltanto ad esigenze di tutela dell’incolpato, mentre è da escludersi che esso risponda alla esigenza del datore di lavoro di valutare quale provvedimento adottare o anche di decidere di non applicare alcuna sanzione.
A tale proposito, le Sezioni Unite della Cassazione, con la sentenza n. 6900/2003, componendo un contrasto insorto nella sezione lavoro, hanno affermato che un provvedimento disciplinare può essere considerato legittimo, anche se adottato prima della scadenza del suddetto termine, allorché il lavoratore <<abbia esercitato pienamente il proprio diritto di difesa facendo pervenire le proprie giustificazioni, senza manifestare alcuna esplicita riserva di ulteriori produzioni documentali o motivazioni difensive>> oppure quando abbia espressamente rinunciato al diritto di essere sentito oralmente, ovvero quando la richiesta appaia, sulla base delle circostanze del caso, ambigua e priva di univocità. In tutti gli altri casi, al datore di lavoro sarà precluso ogni sindacato sulla condotta del lavoratore sia con riferimento alla necessità o opportunità della richiesta, sia sotto il profilo della conformità e correttezza a buona fede.
Al lavoratore quindi deve essere riconosciuta la possibilità di piena esplicazione del diritto di difesa compresa la possibilità di maturare un ripensamento sulla maggiore adeguatezza di una rappresentazione orale degli elementi a propria discolpa, rispetto alle giustificazioni scritte già presentate. Anzi, il fatto stesso che il lavoratore richieda una audizione orale dopo aver presentato giustificazioni scritte, è indicativo del fatto che esse non siano ritenute esaustive dal lavoratore.
Conclusioni
L’esercizio del diritto di difesa del lavoratore non può subire alcun tipo di limitazione, in particolare, la richiesta di audizione orale, una volta formulata dal lavoratore, costituisce indefettibile presupposto procedurale che condiziona la legittimità della sanzione disciplinare.
Avv. Sonia De Grandis
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